Il cosiddetto carattere anale, per la psicoanalisi classica, denotava scrupolosità, meticolosità e ostinazione, nonché una certa ossessione per l’ordine. Non è certo una novità che l’eccesso di burocrazia possa rappresentare una versione istituzionale della analità, ma oggi sembra di intravedere una ulteriore torsione di questo fenomeno, combinato con certi aspetti peculiari della civiltà neoliberista (che, nonostante il nome, con la libertà ha davvero poco a che fare). Siamo entrati nell’era della analità del male.
Il primo tratto maligno di questa epoca si evidenzia nella tela di ragno paralizzante che cala sul soggetto: è ormai incalcolabile la quantità di micronorme da rispettare, di adempimenti da ricordare, di moduli da compilare, inserendo in ogni singola sezione il proprio codice fiscale, spesso richiesto dalla stessa istituzione che quel codice fiscale ci ha marchiato a fuoco il giorno stesso in cui siamo nati.
Il secondo aspetto maligno, più subdolo, riguarda il tono moralistico che pone chiunque nel ruolo di colpevole di omissioni e imprecisioni. Prima di questa era, il tono del burocrate (e del potere) era per lo più freddo e robotico, oggi è paternalistico, giudicante e colpevolizzante. Fa sentire piccoli piccoli. Vale per il cittadino, ma vale anche per gli Stati, che da qualche tempo devono “tenere i conti in ordine”.
La analità del male ci viene inoculata a dosi piccolissime ogni volta con la premessa che si tratta solo di un piccolo, insignificante, minimo adempimento in più, che richiede solo pochi istanti! Ma, inoculazione dopo inoculazione, ci accorgiamo di essere stati avvelenati. Non possiamo però protestare, perché questo ci porrebbe automaticamente nella condizione di sporchi, approssimativi traditori della causa del domani che è magicamente illuminata dalla dea “Rispetto-delle-regole”.
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