Estetica e pornografia del Curriculum Vitae


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Mi capita spesso di ricevere curriculum da parte di giovani (e meno giovani) psicologi/ghe. Sono a mia volta psicologo, e lettura dopo lettura mi è sorto nell’animo una sorta di malessere che ha suscitato varie riflessioni, non limitate all’ambito psicologico. In sintesi ho pensato che nei CV si notano le cose che ci sono, ma assai di più quelle che non ci sono. Cominciamo dalla forma: nessuno osa più presentare CV che non siano nel “formato europeo”, concepito per una altissima standardizzazione dei contenuti, tra cui spicca naturalmente la formazione: lauree, master, e così via. La loro elencazione ricorda un po’ l’esibizione dell’argenteria in vecchi salotti, ma talvolta la sensazione è più quella di una esposizione di artiglieria, quasi si dovesse affrontare armati un mondo ostile.
Nei curriculum si riportano sempre i libri che il soggetto ha scritto, mai quelli che ha letto, men che meno quelli su cui ha studiato, sofferto, pianto o riso. Eppure questi sono quasi sempre più importanti di quelli scritti; questi ultimi, salvo onorevoli eccezioni, sono per lo più insignificante prodotto di narcisismo, mentre i primi sono il nutrimento dell’intelletto. Come faccio a scegliere un soggetto senza sapere che libri ha letto e che libri legge… e “se” legge?
In un CV stanno scritte le esperienze di lavoro, ci mancherebbe, ma non ci sono i pensieri che si sono organizzati intorno o a partire da esse, non ci sono le riflessioni, tanto meno le amarezze e le soddisfazioni. Non ci sono gli ostacoli superati e quelli evitati.
In un CV non si parla quasi mai della persona che si è; certo, non è facile. Qualcuno ci prova, meritevolmente, ma il risultato è quasi sempre una sorta di pornografia della personalità. Nei CV manca l’elencazione delle persone importanti che si sono incontrate. Nel mio meriterebbero una menzione uno straordinario maestro elementare che mi trasmise la sua incrollabile fiducia nell’intelletto umano, un profondissimo professore di sociologia che mi ha lasciato l’idea che Bios (e biologia), Logos (cultura, società…), e Pathos (il sentire, gli affetti…) sono aspetti intrecciati e indissolubili che qualunque scienza umana non può scindere. Dovrei citare anche un altro intellettuale con cui, giovanissimo, ho collaborato, che mi ha lasciato, indissolubilmente unite, la curiosità e la libertà. Qualità rare, peraltro, in ambiente universitario. Se non avessi avuto un incontro significativo con quelle persone io sarei diverso, ma nel mio CV più o meno europeo non ve n’è traccia.
Nei CV si pone molta attenzione alle “capacità e competenze”, che lo scrivente autocertifica solipsisticamente, scegliendo tra quelle più socialmente desiderabili: tra le più tipiche il saper lavorare in team, o saper scrivere e/o leggere inglese o altre lingue, naturalmente a livello “ottimo”. Poco importa, se poi si lavorerà quasi sempre da soli parlando italiano; in alcune realtà locali servirebbe forse saper parlare e comprendere i dialetti, ma non troveremo mai nessuno che dichiari di avere un livello “ottimo” nei dialetti salentini o del Cilento. Per lavorare in un reparto psichiatria d’urgenza il napoletano o magari il veneto servono più spesso che l’inglese, ma che importa. Alcuni aggiungono la conoscenza di linguaggi artistici, ed è un merito, ma vi traspare l’idea che tanto non interessano a nessuno. Non viene invece mai messo in discussione che sia davvero, sempre e comunque importante sapere se il soggetto sappia utilizzare a livello avanzato i fogli elettronici o i word processor.
Nei CV non sono riportate le persone che si sono incontrate, amate, odiate, o con cui si è entrati in conflitto o in collaborazione. Eppure hanno contribuito a costruire quello che siamo. In particolare, per uno psicologo, l’incontro con i pazienti, negli anni, forma una mitografia indelebile di umanità sofferente, e non solo. Forma un sedimento di storie altrui, cementate della propria affettività e esperienza. Anche l’aver seguito anni di analisi personale dovrebbe fare la differenza, ma troppe scuole di psicoterapia tralasciano questo aspetto, e non sempre, quindi, lo si riporta nel CV. Ma come si fa a lavorare sui dolori psichici altrui senza una analisi personale?
Infine manca, nei CV, la storia della persona: se abbia amato e come, se sia stata amata e da chi, se abbia avuto una madre premurosa o trascurante. Se abbia conosciuto l’estasi del sesso intriso d’amore, se sia diventato genitore e con quali vissuti. Se abbia visto morire una persona. Se abbia visto nascere un bambino. Se abbia tenuto in braccio un neonato, e se lo abbia fatto per ore, di notte, da solo. Se abbia fissato a lungo un gatto negli occhi e se abbia imparato a difendersi dai suoi graffi. Come tante altre cose, i curriculum sono un prodotto del loro tempo. E il nostro è evidentemente un tempo triste.