Quell’arancia appoggiata su un piattino. Vedo la mano di una vecchia uscire e lentamente, lentamente prendere l’arancia e portarla dentro. Il suo volto è un geroglifico di rughe che si intravede dietro il vetro su cui giace il piombo dei decenni. La stanza è spoglia, annerita, quasi nebbiosa. La vecchia siede a un tavolo di legno consunto e inizia a sbucciare l’arancia, dapprima con un coltello poi con le dita. Dalla buccia sprizzano gocce di olio aromatico. Null’altro che la vecchia, l’arancia e il profumo. Quando affonda i pochi denti nel primo spicchio e ne spreme il succo, si apre in un sorriso luminoso, lo stesso identico sorriso che rivolse a quel ragazzo nel 1952.
Sorriso

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